Film delizioso questo One Day della danese Lone Scherfing (An education). Sentimental movie sobrio e brioso, lontano da sentimentalismi facili, vicino alla realtà di tutti i giorni.
Dexter e Emma si incontrano a fine anni 80, appena laureandi e finiscono quasi a letto insieme la prima sera. Da quella notte nasce una duratura amicizia che si protrae nel tempo, tra alti e bassi, per tutto l’arco delle loro esistenze. Emma è una squisita Anna Hataway, inizialmente ventenne un po’ imbranata, intelligente e coscienziosa, la classica brava ragazza. Dex, Jim Sturgess, un donnaiolo simpatico e un po’ sbruffone che si fa risucchiare dal mondo dello star system, ma mantiene una scintilla di buon senso che lo salverà in più di un occasione.
La vicenda viene sapientemente spalmata di anno in anno, si parte dal 2006 e si torna immediatamente indietro all’88, per poi progredire di nuovo. Questo permette allo spettatore di assimilare al meglio le dinamiche di cambiamento umane e di rapporto che avvengono tra i due, sapientemente diluite pian piano senza rallentamenti o passaggi inutili; cosa non da poco se si pensa che la storia di per sè è trita e ritrita e il ruolo dello svolgersi narrante è realmente in questo caso quel qualcosa in più. La vicenda gioca il tiro dello humor spigliato (di circostanza) quando non si sofferma sui lati difficili e la recitazione dei protagonisti, sottoposti al non facile compito di crescere, così come delle squisite seconde parti, è di importanza fondamentale per non far perder quota al climax fondante che sale sale fino quando a un passo dal finale qualcosa accade (forse in maniera anche un po’ scontata) ma proietta la storia verso un super ending che con schemi di montaggio temporale ottimamente studiati non possono che lasciare lo spettatore appagato dall’eccezionalità di una storia d’amore come tante altre, bella e unica nella sua specificità e grandezza. Squisitamente pop, proiettato in alto (dalle parti di Two Lovers per intenderci) rimanendo comunque accessibilissimo, One Day rallegrerà come forse appesantirà tanti cuori, orfani di quel tocco leggero ma curato nei minimi dettagli che molte storie d’amore moderne non riescono a trasmettere, legate principalmente a standard di botteghino che difficilmente permettono di uscire dagli schemi del sentimentalismo di più facile lettura.
Ottime come sempre le musiche della Portman (apprezzata recentemente in Non lasciarmi) che senza scendere mai in catarsi scontate accompagnano con vibrante classicismo lo svolgersi dei fatti.
One Day parte dall’amore per sfondare il tema della vita, della crescita nella maturità, di come comportarsi di fronte ai cambiamenti che accadono al nostro interno a cui spesso involontariamente siamo soggetti per cause non nostre e lo fa alla perfezione nella sua non scontata semplicità, dalla regia pulita e soppesata, allo script raccolto e sornione di David Nicholls autore del best seller da cui è tratto il film, alla recitazione intensa e mai sopra le righe dei giovani attori.
Consigliato a chi cerca profondità tra le facili pieghe della vita di tutti i giorni. Per sorridere e piangere un po’, con il pensiero che in fondo la cosa che conta è che se è stato bello per quanto breve o tardivo l’importante è averlo vissuto. Un film che a rivederlo tra qualche anno forse potrà piacere anche di più.
Archivio mensile:novembre 2011
Attimo fermati, sei bello.
Vincitore del Leone d’Oro all’ultima Mostra del cinema di Venezia il Faust di Sokurov, liberamente tratto dall’omonima e celebre opera di Johann Wolfgang von Goethe, non è un film per tutti. Ma, s’intenda bene, affermando ciò, non ci si riferisce alle più o meno confacenti capacità intellettuali dello spettatore rispetto al film.
Il Faust di Sokurov non è un film per tutti, perché è un film che chiede qualcosa in cambio. Pretende la stipula e l’accettazione di una sorta di patto, oserei dire diabolico, tra il film stesso e lo spettatore. Il primo propone una visione del mondo, un sistema di valori e di leggi, che il secondo dovrà accettare per riuscire a far parte dell’esperienza filmica. Il patto può esaurirsi nel tempo della visione o durare una vita intera.
Sokurov apre il quarto e ultimo episodio della Tetralogia del potere, con una spettacolare e inquietante inquadratura a volo d’uccello che inserisce da subito la ben nota vicenda – del Dottor Faust e del suo viaggio verso la perdizione della propria anima – all’interno di una cornice aliena, onirica. Un labirinto alla Escher, irto di ostacoli e di repentine deviazioni, in cui è facile perdersi. Si entra nelle tenebre e non se ne esce più. Ma non tutti sono condannati al pozzo nero. Trovata la chiave, si svela la luce. Si sale, si sale, si sale. E si spalanca un cielo che ti fa piangere per quanto è bello.
Non c’è dubbio che per Sokurov l’impianto visivo sia di principale importanza: la sua riflessione intorno al desiderio passa attraverso esacerbanti monologhi filosofici, insistite bizzarrie surrealiste e consuete provocazioni formali, ma già con la scelta del formato 4.3, è l’immagine pura – al tempo stesso meravigliosamente pittorica e arditamente sperimentale, antica e moderna come la storia che racconta – a imporsi quale filtro attraverso cui osservare il mondo.
Presidente: 8 | Ang: 7 | Apeless: 8-
Umorismo all’italiana, una storia vera
Una kryptonite d’aria fresca
Andate a vedere questo film, e ditelo agli amici: farete del bene a voi stessi, e al cinema italiano, l’unica speranza che ci resta.
La danza di Pina è una passione che appassiona
Ruvido apologo a stelle e strisce
Voto redazione
Le avventure da Teen Teen
Quando la notte si dorme, il sonno della ragione genera mostri
Lei (Claudia Pandolfi) è una “donnina” sull’orlo di una crisi di nervi. Lui (Filippo Timi) un uomo scontroso e impossessato da un fortissimo e totalizzante complesso edipico che avrebbe mandato in brodo di giuggiole Freud.
Bene, il bambino in questione possiede tutte le sublimi caratteristiche appena elencate. È decisamente vivace e per di più è affetto da qualcosa, ma non si capisce cosa – semplice asma forse? – beh, incredibile ma vero, non lo sapremo mai, perché la regista, nonché sceneggiatrice, nonché autrice del romanzo da cui è tratto il film, decide di sorvolare completamente sulla questione. Questo qualcosa, comunque, costringe madre e figlio a trasferirsi in montagna per un mese. La convivenza forzata proverà notevolmente la donna, già di per sé in crisi rispetto al proprio ruolo di madre.
La cattiveria della terra
Seguito dall’abituale strascico di polemiche, Lars Von Trier si ripresenta al grande pubblico mettendo in scena un malessere da respirare a pieni polmoni, un viaggio al termine della depressione dal quale è difficile uscire indenni. Il film strutturato in due parti si apre con una sequenza di immagini imponenti; monoliti eretti sulle note del Tristano e Isotta di Wagner che calano completamente lo spettatore nel clima rarefatto del film annunciando ciò che verrà mostrato con ben poca pietà. L’incapacità di vivere non abbandona Justine nemmeno il giorno del suo matrimonio. Ciò che la ricatta pretendendo la sua felicità è una cosa insostenibile e ripugnante; proprio come la limousine che si incaglia in una tortuosa strada di campagna, la ragazza è incapace di andare avanti e implode vinta da una sorta di depressione eroica che le impedisce di raggiungere uno stato di equilibrio. Ovviamente in tutto ciò emerge l’ego del regista perfettamente incarnato dalla splendida Kirsten Dunst giustamente premiata con la palma d’oro per la migliore interpretazione femminile all’ultimo festival di Cannes.